Storie da più libri

Dentro La Nuvola – “Serpenti Ciechi” di Bartolomé Seguì e Felipe Hernández Cava

Eccomi in tutto il mio antico splendore! Anche se in molti mi preferiscono per come sono oggi: luminosa, patinata, da mettere su Instagram e non pensarci più.
Io invece rimpiango quegli anni.
Erano belli, diretti e schietti, come uno schiaffo in faccia quando te lo meriti. E non c’era spazio per la bugie o per le scuse. In quegli anni quello che succedeva al mio interno, anche la cosa più piccola e insignificante, sembrava che in qualche modo dovesse, da un momento all’altro, cambiare le regole del mondo. Sovvertire le leggi sociali fino ad allora conosciute.

Avete ragione, scusatemi sono una maleducata, mi presento: sono la Città di New York degli anni ’30. Di fine anni ‘30 in realtà. Ebbene sì, la Grande Mela in cemento e architettura sviluppata verso l’alto (lo so che si dice grattacieli, ma preferisco questo modo un po’ più letterario). Sapete non dovrei dirvelo ma io ho sempre amato i fumetti di Dick Tracy e prestare la mia storia per questo racconto mi è piaciuto davvero tanto.

È vero, a fine anni ’30 c’era un bel casino tra queste strade, molte delle quali oggi nemmeno esistono più. C’era puzza, violenza, e quando faceva caldo, lo faceva sul serio, la strada era rovente, e quando faceva freddo, se non avevi un posto dove correre a ripararti dal vento che arrivava dall’Oceano, beh… non avevi poi tante altre occasioni per raccontare quanto freddo avessi avuto la notte precedente.

Non so se quello che sta succedendo nei miei vicoli e nei miei squallidi alberghi in questi anni e in queste pagine sia bello o brutto, giusto o sbagliato, ma credo che sia tutto incredibilmente vero. Più vero di oggi, ma non fraintendetemi non sto a dire che oggi io sia una città falsa o che io ospiti accadimenti falsi. Semplicemente mi sembra di poter dire che negli anni Trenta, se in una piccola strada senza uscita di quelle che in questi anni abbondano verso il basso, giù ai miei piedi verso il porto, qualcuno si riduce a fare del male a un’altra persona, probabilmente non ha davvero altra scelta. E sì l’onore e sì le promesse che devono essere mantenute ma in quegli anni io, New York, ero sul serio la città delle possibilità e se l’unica possibilità che un uomo aveva davanti a sé era quella di togliere la vita a un altro uomo, allora io che dovevo fare?

Nulla.

Zitta guardavo e lasciavo fare. Perché anche in quell’assenza di regole e nel mio lasciar correre si fondano oggi le storie sulle possibilità e sul farsi da soli che vi piace raccontare a voi che vivete dall’altra parte dell’Oceano.

La verità è che qui nel ’39 era tutta un’altra storia. Era tutta un’altra storia. E storia non è sempre sinonimo di qualcosa di bello. Per quelle esiste Disneyland, ma vi dovete spostare di parecchi chilometri.

Qui a New York senza luci lampeggianti, con la puzza di sudore e di cibo andato a male è già una bella storia quando torni a casa con le ossa sane e qualcosa per sfamare te e i tuoi cari.

Tutto il resto, a metà tra le due guerre mondiali, davvero non conta.

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