Nata come libreria commissionaria nel 1978, la casa editrice romana Viella si specializza dai primi anni Ottanta nella pubblicazione di testi di saggistica storica, artistica e filologica: le humanities del mondo anglosassone. Una passione che traspare già dal suo nome e dal suo logo: una «viella», per l’appunto, strumento musicale a corde molto diffuso nel Medioevo. «Oggi la nostra produzione editoriale cammina lungo un doppio binario» racconta Cecilia Palombelli, amministratrice delegata della casa editrice. «Da un lato pubblichiamo ricerche accademiche, ed è il nostro focus. Dall’altro portiamo in Italia, in traduzione, libri di studiosi esteri che riteniamo importanti».
Negli ultimi anni, l’evoluzione di Viella si è mossa in sincrono con il processo di internazionalizzazione che ha caratterizzato la ricerca accademica, e che ha portato l’inglese a diventare la lingua veicolare per la comunicazione a livello internazionale delle materie umanistiche, in maniera non dissimile rispetto a quanto era già avvenuto per le scienze esatte. Così, nel 2016, la casa editrice ha inaugurato due collane dal respiro decisamente internazionale: una di ricerche originali in lingua inglese – Viella Historical Research – e un’altra di traduzioni in inglese di monografie in lingua italiana, chiamata Viella History, Art and Humanities Collection.
«Non lavoriamo soltanto con i dipartimenti italiani, ma anche con molte università europee: Barcellona, Losanna, Budapest, Harvard, per fare degli esempi» precisa Palombelli. «Pubblichiamo per loro libri e collane che poi promuoviamo e commercializziamo sul mercato globale della ricerca. Al tempo stesso portiamo in Italia voci significative del panorama straniero: quest’anno, per esempio, abbiamo tradotto Sonnambuli verso un nuovo mondo di Chris Wickham – tra i più grandi storici al livello internazionale –, uno studio sull’origine dei comuni italiani pubblicato inizialmente dalla Princeton University Press. Sempre recentemente abbiamo avviato un progetto con Memorial Italia, un’associazione internazionale nata a Mosca che promuove la pubblicazione di ricerche di storia e di letteratura condotte da studiosi russi sull’Unione Sovietica e la Russia post-sovietica, soprattutto sui temi della violenza e del totalitarismo. Con loro abbiamo già tradotto in italiano due titoli e altri due sono in programma».
Fedele a Più libri più liberi sin da subito, nel 2017 l’esperienza della fiera è stata per Viella particolarmente entusiasmante: «Un’edizione ottima. Noi – che non pubblichiamo certo libri di cucina, ma strumenti di studio, spesso “difficili” o poco attraenti per il grande pubblico – abbiamo venduto più del doppio dello scorso anno, con una media di settanta libri al giorno. Che, considerando i nostri prezzi di copertina, mi sembra un buon risultato».
Anche Cecilia Palombelli riconosce quanto il richiamo «turistico» esercitato della Nuvola – aperta al pubblico per la prima volta proprio in occasione della sedicesima edizione di Più libri più liberi – abbia contato. «Ma in media i visitatori, oltre che più numerosi, erano anche più interessati a seguire gli eventi e a visitare la fiera, e immagino che questo sia dovuto anche al buon lavoro con le scuole, con le università, e più in generale al processo di comunicazione dei temi e dell’offerta della fiera nei mesi che l’hanno preceduta».
«Noi abbiamo organizzato le presentazioni di due libri: La violenza contro le donne nella storia (a cura di Simona Feci e Laura Schettini) e Il califfo di Dio (di Marco Di Branco). In entrambi i casi le sale erano molto affollate. E lo stesso vale per lo stand dove, quest’anno più che in altre occasioni, abbiamo riscontrato la presenza di un pubblico molto interessato anche tra le fasce più giovani. Studenti, dottorandi, professionisti: si sono fermati, hanno riconosciuto i loro docenti universitari e i loro studi pregressi. Si sono interessati ai nostri libri».
Le attese per l’anno prossimo? «Spero che la fiera possa accentuare la sua dimensione globale: non solo un evento e un appuntamento per Roma, ma per tutta l’Italia e oltre. E credo che sia un auspicio plausibile, perché una volta stabilito il felice connubio tra un luogo architettonico interessante – che è anche una cornice ospitale per espositori e visitatori – e un’offerta culturale di valore (e anche varia e divertente), il pubblico avrà molte ragioni (e molto più che “turistiche”) per programmare una visita».
Questo è un articolo della newsletter di Più libri più liberi a cura del Giornale della Libreria, per consultarla clicca qui.