50 mila visitatori in cinque giorni, dentro 2 mila metri quadri di superficie espositiva, a guardare, sfogliare e comprare i titoli della piccola editoria italiana, e ad ascoltare i suoi autori al Palazzo dei Congressi in quel dell’Eur non sono mai stati pochi. La fiera, fino a ieri, intercettava – con le evidenti oscillazioni negli anni, che sono stati anche anni di flessione del mercato e di cambiamenti dei modi di leggere e di comprare – il 28-30% di forti e abituali lettori di libri della città. Percentuali non piccole, soprattutto in considerazione della collocazione periferica che l’Eur ha rispetto all’area urbana, ai grandi snodi di collegamento, alla stessa rete di trasporto urbano della città di Roma.
Un pubblico che sicuramente quest’anno, con il trasloco dal Palazzo dei Congressi alla Nuvola, sarà destinato a crescere, essendo la fiera il primo evento aperto al pubblico in questo nuovo spazio. Di quanto, staremo a vedere, come staremo a vedere anche il «tipo» di pubblico. Perché, questo è certo, sarà un pubblico diverso.
In altre parole, quello che inizia in questo dicembre 2017 sarà per tutti un nuovo precorso: nuovo come quello che abbiamo intrapreso sedici anni fa nella precedente location. Si è facili profeti nell’ipotizzare una crescita del pubblico dei frequentatori, ma che frequentatori saranno? Cosa chiederanno alla fiera di diverso rispetto ai visitatori di Palazzo dei Congressi? Certamente anche la possibilità di vivere un’esperienza, di entrare in uno spazio architettonico suggestivo, ricco di emozioni agli sguardi. Ma quanti di questi nuovi frequentatori – e ce ne immaginiamo tanti – scopriranno e compreranno dei libri di editori che faticano a vedere sui banchi della libreria? Ad avvicinarsi ai cataloghi di editori che prima della fiera non conoscevano? Quanti di questi frequentano librerie o festival letterari? Quanti inizieranno a farlo dopo?
Un pubblico – almeno in parte – nuovo obbliga a pensare a percorsi, proposte e assortimenti nuovi, o comunque diversi. Avremo un pubblico «antropologicamente» diverso? Come quello di Milano in occasione del Fuorisalone (del mobile)? Del distretto del design di Lambrate o della moda di via Tortona? Un pubblico attratto dalla novità e dal glamour della Nuvola? Sarà anche un pubblico più giovane? Difficile dare risposte, a 40 giorni dall’inizio di Più libri più liberi, ma è necessario farsi queste domande.
Certamente il numero degli espositori e il numero dei visitatori (così come la loro spesa, anche se forse per altre ragioni) avevano raggiunto nelle scorse edizioni un livello di maturità. Il Palazzo dei Congressi ha accolto la fiera e l’ha fatta crescere, ma è diventato negli ultimi anni sempre meno adatto a rappresentare e raccontare un settore in crescita e vitale come quello delle piccola editoria: negli spazi per gli espositori e nei percorsi per il pubblico, nei servizi e nelle sale. In qualche modo mostrava, al restringersi dello spazio e all’accentuarsi delle «pecche», la crescita conosciuta dal settore in questi 16 anni, che è arrivato a pesare nei canali trade (Amazon escluso) ben il 34%!
Più visitatori di quelli che entravano non ce ne potevano stare (così come il numero degli espositori), e quelli che ci «stavano» mettevano in evidenza – è il monitoraggio che si è fatto in questi anni, in collaborazione con l’Università di Tor Vergata a dircelo – due aspetti. Innanzitutto il forte legame (anche generazionale) tra pubblico, fiera e tessuto di piccoli editori nati tra anni Settanta, Ottanta e Novanta; il senso di appartenere a una «comunità» che si ritrova in un rito all’interno del mito (tutto italiano) della «piccola editoria». Con le sue copertine, i suoi autori, le sue scritture.
Un altro aspetto? In questi anni il numero di piccoli editori – con i loro progetti editoriali fondati su una eccentricità e una specializzazione sempre più spinta, su nuovi linguaggi (si pensi alla graphic novel o ai bambini), e al tempo stesso sempre più attenti ad aspetti qualitativi e di scoperta – è cresciuto, mentre le librerie per tante ragioni faticavano a tenere dietro a libri, marchi, editori, autori nuovi. Avevano difficoltà a coniugare visibilità degli emergenti con la resa economica, interagendo con marchi molto più legati – ma è una personale valutazione – a una fascia diversa di pubblico, che non è più (o non è più solo) quello delle prime edizioni di Più libri. Sono manifestazione come Book Pride o Bookcity a dirlo, e il profilo «antropologico» dei loro frequentatori, diverso da quello che vediamo al Salone di Torino, a Tempo di Libri, ma anche alla stessa Più libri.
La Nuvola, con la sua capacità attrattiva, ha tutte le potenzialità per intercettare un pubblico che vuol vivere un altro tipo evento; che vuole vivere nuove forme di esperienze di consumo culturale (la visita di uno spazio architettonico nuovo), e che semmai vorrà guardare le copertine di nuovi editori (e di quelli affermati) riflesse nelle trasparenze dei suoi volumi e delle sue architetture. Un pubblico, magari, già in partenza di forti lettori e forti acquirenti, ma che in ogni caso dovrà essere conquistato.
La Nuvola è un contenitore dalle potenzialità e dalle capacità attrattive enormi e tutte ancora da esplorare. Da chi organizza come da chi espone: anche in direzione delle fasce di lettori più deboli, meno affezionati, che conoscono poco (o non conoscono affatto) l’offerta di una parte importante della piccola editoria. Ma, come per ogni prodotto, ciò che alla fine farà la differenza sarà la qualità del contenuto che organizzatori ed editori sapranno mettere in campo.
Giovanni Peresson
Questo è un articolo della newsletter di Più libri più liberi a cura del Giornale della Libreria, per consultarla clicca qui.