Storie da più libri

I Collezionabili di Valeria Luiselli: questi fantasmi della letteratura

Articolo di Maria Di Biase | Scratchbook

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Questa è la storia dei miei denti: il mio trattato sui pezzi da collezione, i Collezionabili, come li chiamo io, sui nomi propri, e sul riciclaggio radicale. Prima viene l’Inizio, poi il Centro, e poi la Fine, come in un qualsiasi altro racconto. Il resto, come dice un mio amico, non è altro che letteratura.

Gustavo Sánchez Sánchez si è appena presentato e ha già detto una bugia: non esiste qualcosa, nella sua storia, che non sia letteratura. Gustavo, Autostrada per gli amici, nacque con quattro denti. Il padre non era tanto convinto che fosse suo figlio, un po’ bruttino per gli standard della famiglia, finché non gli venne detto che la genetica è influenzata da Dio, e allora si convinse, o soltanto si rassegnò. A ventun anni, Gustavo era un vigilante in una fabbrica di succhi di frutta, aveva una dentatura orribile e uno spiccato talento nel fornire supporto psicologico ai colleghi. Qualche tempo dopo, per un insieme più o meno fortunato di eventi, lasciò tutto (il suo lavoro, la sua donna, il suo bambino – Siddhartha Sánchez Tostado) per diventare «il miglior banditore d’asta del mondo». L’unico scopo di Gustavo era guadagnare abbastanza per rifarsi i denti, il successo fu un effetto collaterale inaspettato. A differenza degli altri banditori, si accorse che il segreto di un’asta vincente si nascondeva nel coinvolgimento emotivo delle parti, in quel tipo di relazione che il venditore riusciva a creare tra il bene oggetto della vendita e il compratore. Forte di questa convinzione, si impegnò a fare del suo lavoro un’arte, dichiarandosi prima di tutto un collezionista di storie. Storie vere, oppure no. Fine del racconto.

Il resto è fatto dai grandi nomi della letteratura che trovano spazio nelle aste paraboliche, iperboliche e allegoriche di Gustavo. Il libro di Valeria Luiselli è divertente, piacevolmente grottesco, volutamente citazionista, eccentrico fin dal concepimento. Nel gennaio del 2013, Valeria Luiselli fu incaricata di scrivere un testo per il catalogo di una mostra che si sarebbe tenuta alla galleria d’arte Jumex, finanziata dall’omonima fabbrica di succhi di frutta, situata nel quartiere popolare di Ecatepec alla periferia di Città del Messico. L’idea era riflettere sul collegamento, se esiste, tra un’opera d’arte e un succo di frutta, tra la galleria e la fabbrica. Più in generale: sul valore intrinseco/estrinseco di un oggetto.

Il gioco che ci si prefissa nel libro è, dunque, quello di spostare gli oggetti dal contesto che dà loro valore e autorità – una specie di processo duchampiano al contrario – e vedere come questo influisce sul suo significato e interpretazione. I nomi propri che appaiono in questo libro sono, ugualmente, decontestualizzati dal loro contesto originale.

L’idea di una storia nata su commissione ha lasciato interdetti alcuni lettori, accaniti sostenitori della necessità di un’ispirazione che preceda il processo creativo, come un’esigenza che parte da dentro, dentro lo scrittore, e non viceversa. Io invece penso di aver apprezzato il libro proprio per questo: mi è sembrato un esperimento riuscito, all’altezza delle intenzioni. John Barth, che è un po’ il papà del postmodenismo, ci ha insegnato che «la letteratura riguarda quasi sempre anche se stessa», che la letteratura può essere il motivo, il punto di partenza. E se scrivere vuol dire mettere in relazione due sensibilità, chi dice che da stimoli diversi non possa derivare lo stesso risultato?

***

La storia dei miei denti, Valeria Luiselli. La nuova frontiera, 2016. Traduzione di Elisa Tramontin.

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