«La nascita della casa editrice è l’esito di quel processo interminabile di formazione – e il desiderio di rompere quel circolo vizioso degli stage quando retribuiti, quando no – in cui si sono trovati coinvolti un paio di ragazzi all’uscita dall’università e poi da un master» racconta Stefano Friani. I due «ex ragazzi: ormai abbiamo superato i trenta» sono lui ed Emanuele Giammarco, a capo della Racconti Edizioni. La nuova realtà editoriale, parte dal 2016 del panorama dell’editoria indipendente romana, ha un focus esclusivo sulle narrazioni brevi, le short story, ed è oggi protagonista del giro d’interviste agli espositori di Più libri 2017. Un appuntamento che ci accompagnerà fino al 6 dicembre quando, nella nuova cornice del Roma Convention Center La Nuvola, riaprirà i battenti la fiera nazionale della piccola e media editoria.

Vi siete detti: basta stage, facciamo qualcosa di nostro.

Ci siamo dichiarati abbastanza formati da poter smettere di percorrere le caselle di questa specie di perverso gioco dell’oca, in cui ogni volta si deve cominciare da capo per aggiungere una qualifica al curriculum. Eravamo di ritorno da due città ed esperienze diverse (io da Torino, dalla Einaudi, Emanuele da Milano, dal Saggiatore), ci siamo guardati dal fondo di una pinta e ci siamo detti «se lo fanno altri, possiamo provarci anche noi».

L’idea di focalizzarci sul racconto è arrivata dopo. Rivendicherei anche una certa ingenuità nel decidere prima di voler lavorare in editoria e di aprire una casa editrice e, solo dopo, nel ragionare in termini di progetto editoriale, di sostenibilità e di mercato. Perché il principio che guida chiunque abbia in mente di inserirsi nel settore editoriale, oggi, è proprio questo: riempire uno spazio ancora vuoto, proporre qualcosa che non c’è ancora, fare qualcosa di nuovo.

E noi abbiamo considerato che in Italia (ma anche nel resto de mondo: non so di una casa editrice estera con un focus così specifico sul racconto), in libreria, ci fosse uno spazio per una serie di libri veramente incredibili. Libri come Stamattina stasera troppo presto di James Baldwin o Appunti da un bordello turco di Philip Ó Ceallaigh. Libri che non venivano tradotti né riproposti se già usciti in passato. Libri che, al più, stavano ghettizzati nelle collane dei romanzi o trascurati all’interno di cataloghi che li guardavano non di buon occhio.

Ci siamo dati il limite del racconto anche perché ci permetteva di continuare a fare una cosa che appassiona molto entrambi, che è leggerli i racconti. Ma, soprattutto, perché riteniamo – anche magari a torto – che questa forma narrativa si adegui particolarmente bene alla contemporaneità e possa – in opposizione all’adagio antico del «racconto che non vende» – addirittura funzionare commercialmente.

È il secondo anno che partecipate a Più libri più liberi, il primo che lo fate con uno stand autonomo. Qual è il vostro rapporto con la fiera? Com’è iniziato?
Avvicinarci a Più libri è stato abbastanza naturale perché, giocando in casa, era naturale che volessimo trovarci un posto all’interno della fiera. Alla prima edizione abbiamo partecipato per il rotto della cuffia perché, essendo nati da poco, forse non eravamo stati considerati abbastanza rilevanti per esporre in uno stand autonomo, allora ci hanno ospitato gli amici di Cliquot. Alla fiera abbiamo portato i 7 libri che avevamo in catalogo, ma c’erano già nomi abbastanza di peso: Rohinton Mistry, quell’anno dato 66 a 1 per la vittoria del Nobel per la letteratura, James Baldwin, mostro sacro della letteratura nera americana e americana a tutto tondo. In generale cerchiamo di partecipare a tutte le fiere e i saloni del libro possibili: figuriamoci a Roma, che è casa nostra.

Quest’anno Più libri trasloca e si stabilisce alla Nuvola. Aspettative? Timori?
Siamo sicuramente molto contenti che l’esposizione si svilupperà su un solo piano, perché essere collocati sopra, nella vecchia sede, significava avere meno possibilità di farsi trovare dal pubblico. Quindi c’è un’aspettativa diversa, e più positiva, innanzitutto da un punto di vista logistico. Anche perché, per quanto bello potesse essere il Palazzo dei Congressi, era ormai inadatto ad accogliere il numero di espositori che la fiera richiama e il pubblico, che rimaneva spesso incolonnato negli stretti corridoi di passaggio della struttura.
Credo poi che questa prima edizione alla Nuvola potrà far leva sulla curiosità dei cittadini di scoprire l’opera di Fuksas. Io sono un grande fautore del portare i libri fuori dai circuiti dei lettori «estremi», quelli che da soli mantengono in piedi la gran parte dell’editori italiana: se la Nuvola genererà un afflusso di pubblico più eterogeneo, ben venga.

Ma non si vive di solo pubblico. A Più libri si fanno anche incontri professionali interessanti: voi, per esempio, ci avete conosciuto quello che sarebbe diventato il vostro ufficio stampa.
Da studente universitario ero uno di quelli che portava i curriculum in fiera alle case editrici ammorbando di chiacchiere gli standisti. Giulia [Gabriele] è stata più avveduta di me: è venuta a conoscerci a Più libri l’anno scorso e abbiamo fatto quattro chiacchiere. Solo dopo abbiamo scoperto che si occupava di ufficio stampa e, nel giro di un mese, la nostra conoscenza si è evoluta in una collaborazione professionale, perché nel frattempo il nostro progetto editoriale stava crescendo e non riuscivamo a stare dietro anche a quest’aspetto della nostra attività.
È stato piacevole e strategico come incontro. Uno dei tanti, piacevoli e strategici, che si fanno in fiera. Perché poi è questo il valore aggiunto di Più libri più liberi: la possibilità di incontrare tante persone che, in qualche modo, possono aprirti una strada, darti un’idea, farti scoprire visuali inaspettate sul tuo lavoro o libri e autori che non avresti incrociato altrimenti.

Alessandra Rotondo


Questo è un articolo della newsletter di Più libri più liberi a cura del Giornale della Libreria, per consultarla clicca qui.