Mai come per l’edizione 2017, lo storico nome della manifestazione romana dedicata alla piccola e media editoria è suonato come un invito da cogliere. Eravamo tutti più liberi di muoverci all’interno del Roma Convention Center La Nuvola, di esplorare, di scoprire, di tracciare traiettorie tra stand e proposte, autori, generi, editori. Eravamo liberi tra i libri di quell’editoria «minore» che fa variegato ed eterogeneo il nostro settore. Eravamo – noi editori, addetti ai lavori, lettori, avventori e curiosi d’ogni genere – liberi perché tanti, e diversi. Eppure parte di un progetto culturale, solido e longevo, che nella maestosa cornice architettonica concepita dai coniugi Fuksas ha trovato un volano di notorietà e uno spazio per sprigionare il suo potenziale.

«Non voglio dire che il successo della sedicesima edizione di Più libri più liberi fosse annunciato» racconta il direttore della fiera Fabio Del Giudice. «Ma per chi ha osservato da vicino la manifestazione in questi quindici anni, per chi ha quotidianamente lavorato alla sua buona riuscita e alla sua crescita, era forse immaginabile. Un risultato che attendevamo e che abbiamo cercato nel consapevole mix di elementi diversi».

Una grande sfida.

Sicuramente. Più libri nasce sedici anni fa come vetrina per l’editoria indipendente e si afferma come manifestazione culturale a Roma. Nel tempo cresce e si evolve, ma resta comunque legata – e per alcuni versi relegata – a una dimensione settoriale, di nicchia. Malgrado i suoi cinquantamila visitatori abituali, che pure sono un numero importante per il nostro settore, al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori non viene percepita come «grande evento».
Una delle sfide del passaggio alla Nuvola consisteva nel farle guadagnare quest’allure, pur non snaturando la sua natura e il suo obiettivo. L’altra, nell’evitare che il contenitore prendesse il sopravvento sui contenuti: che una sede superba rubasse la scena ai libri. Siamo ancora in fase di analisi dei risultati, ma la sensazione è di aver vinto su entrambi i fronti.
L’edizione 2017 si è avvalsa molto del richiamo «turistico» della Nuvola per attirare un pubblico più folto ed eterogeneo. La preoccupazione che avevamo è che questo pubblico sarebbe venuto all’Eur esclusivamente per visitare l’opera architettonica, mettendo ai margini lo spirito, il cuore e l’offerta culturale della fiera.
L’evidenza ci dice che non è andata così: per i risultati di vendita degli editori e, più in generale, per la loro soddisfazione, per gli stand arrivati vuoti alla domenica, per gli eventi da tutto esaurito. Abbiamo attirato i visitatori con il pretesto della Nuvola, la scommessa – vinta – è stata farli restare per le presentazioni, per gli autori, per l’offerta editoriale.

E per farli comprare!

Non so se il pubblico «nuovo» di Più libri si sia già trasformato in un pubblico di lettori, ma di acquirenti di libri sicuramente sì. Le vendite in fiera sono andate enormemente meglio rispetto agli anni passati: alcuni editori hanno dichiarato di aver più che raddoppiato l’incasso rispetto alle edizioni precedenti. Insomma, è successo proprio quello che speravamo e a cui abbiamo lavorato. Il pubblico si è fatto attrarre, oltre che dalla bellezza estetica della Nuvola, dall’oggetto libro. Che gli editori hanno sapientemente esposto e proposto durante la manifestazione.

Non selezionare lettori ma attrarre pubblico. E poi, chissà. Una formula esportabile?

Credo che questo principio possa valere in generale quando si tratta di promuovere e diffondere la lettura. Sono profondamente convito che il libro, soprattutto in un Paese non così educato a fruirne, vada portato ai lettori, introdotto nello spazio dei loro interessi, avvicinato alla gente senza timore delle contaminazioni. Quello che si tende a fare nell’ambito delle iniziative di promozione della lettura è spingere il non lettore verso il libro aspettandosi che sia il primo a fare uno sforzo, un salto. Quello che abbiamo cercato con la sedicesima edizione di più libri più liberi – e che crediamo di aver conseguito – è un cambio di paradigma.

D’altronde, per la promozione della lettura passa anche la salute del nostro settore.

Appunto. E trovo sterile se non stupida l’antinomia tra infrastruttura ed eventi, e chi ragiona per compartimenti stagni non fa altro che danneggiare il mondo del libro. Gli esempi virtuosi offerti da altri Paesi ci hanno insegnato che una politica vincente di promozione, di avvicinamento al libro, non può prescindere da nessun luogo o aspetto dell’industria editoriale e dalla sua filiera.
È evidente che serve sostenere le infrastrutture, quelle per la lettura come quelle produttive e distributive. Serve per dar solidità al nostro universo, per formare i nostri «clienti» e per intervenire positivamente sulla condizione culturale e sociale del Paese. Ma, allo stesso modo, è necessario creare eventi e manifestazioni che siano di avvicinamento al potenziale lettore, e di quest’ultimo al libro.
Nessuno s’immagina – ed io per primo, pur organizzandone una – che, da sole, le fiere del libro possano risolvere il problema della lettura in Italia. Però sono convinto che manifestazioni ben concepite, sorrette da progetti seri, possano dare un aiuto enorme. Dovrebbero essere come ciliegine su una ben più ampia torta d’investimenti e progettualità, momenti di grande appeal capaci di richiamare l’attenzione della collettività.

Con Più libri alla Nuvola è successo?

L’operazione è stata pensata esattamente in questo modo e ha funzionato, anche grazie alla lungimiranza di Eur Spa che ha scelto, consapevolmente e deliberatamente, di aprire per la prima volta la Nuvola al grande pubblico con Più libri più liberi.
Questo ha richiesto a Più libri e alla sua macchina organizzativa – molto efficiente, vivace e ben rodata – uno sforzo di adattamento. Ci ha spinto a ripensarci in uno dei contesti architettonici più belli e importanti d’Europa. Ha funzionato, e oggi non dobbiamo aver paura di dire di avere tra le mani una manifestazione culturale di livello eccelso, ospitata in una cornice d’avanguardia, nella città che è capitale del nostro Paese.
Nei giorni in cui si è svolta, la fiera ha dominato l’agenda dei media nazionali e capitolini, è stata al centro dei discorsi dei salotti bene e delle chiacchiere al bar. Ha smosso Roma. Città tipicamente, storicamente, biologicamente sorniona e indolente, che in quei giorni si è stretta e animata attorno a un grande progetto culturale.

La sedicesima edizione è stata preceduta da quindici anni «laboratoriali», durante i quali Più libri ha incubato tanti editori e tanti libri indipendenti. La fiera manterrà quest’aspetto?

Più libri più liberi è nata per fare da supporto all’attività imprenditoriale dei piccoli e medi editori. Questo voleva essere fin dalla prima edizione e credo di poter dire che ci sia riuscita. Negli anni gli editori hanno colto perfettamente questo scopo e questa opportunità, perché creare un evento che abbia al centro l’editoria indipendente dà la possibilità a ciascuno di avvicinare il suo pubblico, rinforzando il rapporto con quello storico, peculiare, d’affezione, e incontrando lettori sempre nuovi.
Negli anni è successo – e mi aspetto che dopo il grande successo della sedicesima edizione succederà ancora di più – che i marchi editoriali arrivassero in fiera appena nati e ne uscissero con una riconoscibilità, con dei lettori reali e potenziali, con un progetto più nitido e maturo.
Ancora una volta, la fiera da sola non può risolvere le difficoltà strutturali dell’editoria e del singolo editore indipendente: la produzione, la distribuzione, la promozione. Quello che può, deve, e riesce a fare un evento ben concepito è sostenere l’editore nell’affermazione del proprio brand. E non credo sia un caso che, in questi sedici anni, assieme a Più libri siano cresciuti anche tanti progetti editoriali che fanno ricco e vario il nostro settore. Questa è stata e continua a essere la nostra priorità.


Questo è un articolo della newsletter di Più libri più liberi a cura del Giornale della Libreria, per consultarla clicca qui.