Da quando la cosiddetta «rivoluzione digitale» ha dismesso il suo carattere di eccezionalità e dirompenza e ha preso dimora abituale nelle nostre vite, il settore editoriale ha cominciato più o meno sommessamente a chiedersi quanto l’intrattenimento (e più in generale la fruizione mediale) digitale – diciamo dalle app a Netflix, passando per i videogiochi, almeno quelli con una trama narrativa significativamente densa – avrebbe concorso con il mercato del libro per guadagnarsi (spartirsi?) l’attenzione del lettore.
Se da un lato – abbiamo avuto modo di osservarlo ripetutamente – una maggiore offerta di prodotti, formati, soluzioni tende ad accentuare un certo eclettismo nel consumatore (piuttosto che a condurlo nella posizione di dover decidere cosa buttare giù dalla torre dei suoi consumi mediali); è pur vero che questo tipo di offerta deve confrontarsi in ogni caso con due disponibilità per lo più finite in capo al fruitore: quella di tempo e quella di spesa.
In particolar modo ci si è chiesti, e ci si chiede tuttora, cosa succede a quei consumatori e a quei lettori che hanno cittadinanza piena nel contesto digitale: quelli per i quali non esistono un prima e un dopo riguardo all’avvento di certe tecnologie e consumi, ma vivono il tutto in un normalizzato presente.
Tornando ai preziosi dati del Barómetro de hábitos de lectura y compra de libros 2018 elaborati dalla Federación de gremios de editores de España (FGEE) – sui quali abbiamo avuto modo di soffermarci già nel corso delle settimane passate –, un’analisi delle informazioni riguardanti la popolazione più giovane mostra come, mentre fino ai 14 anni il tasso di lettura è decisamente alto (70%), la scoperta – inoltrandosi nell’adolescenza e poi nella giovinezza – di piattaforme come Instagram, WhatsApp o YouTube farebbe calare l’interesse verso i libri, portando la succitata quota al 40% nel segmento 14-25.
Eppure, focalizzando l’attenzione sulla prospettiva dei contenuti digitali, è altrettanto immediato cogliere come proprio questi ultimi possano rappresentare un traino verso la lettura negli anni dell’allontanamento dal libro. Per l’FGEE, il 78,3% degli spagnoli di età compresa tra i 14 e i 25 anni legge contenuti in formato digitale: dalla stampa ai social network, passando per forum e siti web. Si tratta nella quasi totalità dei casi di consumi reiterati e frequenti.
E-reader e computer sono i device più utilizzati per leggere (rispettivamente dal 12% e l’11% della popolazione). Il 6,7% legge dal cellulare. Se poi si guarda a cos’è successo negli ultimi otto anni, i lettori in digitale sono passati dal 5,3% al 28,7%, rispetto all’attuale 38,7% di chi – oggi – continua a leggere solo lo su carta.
L’aumento della lettura dei contenuti digitali, in ogni caso, non si traduce in un parallelo aumento della lettura totale, il che suggerirebbe un graduale trasferimento dalla carta al digitale. Tuttavia, secondo i dati pubblicati da KVB Boekwerk / GfK, la lettura di e-book incoraggerebbe in ogni caso i lettori a leggere di più (il 21% di chi compra libri digitali ne compra almeno uno al mese. È ciò che succede nei Paesi Bassi, dove lo studio è stato condotto). E qualcosa di simile afferma anche lo stesso Barómetro, i cui dati mostrano che il lettore digitale legge un numero di titoli l’anno più elevato della media (13 vs 11).
Per la prima volta, poi, il Barómetro di quest’anno si sofferma in maniera più strutturata sull’analisi del consumo di audiolibri. Vediamo cosa succede tra i giovani (14-25 anni): nel trimestre è il 2,5% ad averne ascoltato almeno uno, l’1,1% ne ha ascoltato almeno uno a settimana. In più, secondo le informazioni condivise dalle più importanti piattaforme di prodotti audio presenti in Spagna, il 35% dei loro utenti ha meno di 30 anni. Un’evidenza che confermerebbe l’ipotesi che possa trattarsi di un alleato della lettura. E questo senza considerare i benefici educativi del leggere «con gli occhi e con le orecchie» che diversi studi vanno ormai confermando. Tra le tante teorie, una: la lettura ascoltata, depurata dalla fatica dell’apprendimento, aiuterebbe i più piccoli a godere del contenuto narrativo, motivandoli nel diventare lettori – non solo ascoltatori – autonomi.
Ma quando parliamo di prodotti editoriali audio, è bene ricordarlo, il riferimento non va ai soli audiolibri. Secondo un’indagine del «The Guardian», per esempio, tra il 2010 e il 2018 circa 840 mila giovani di età compresa tra i 14 ei 25 anni hanno smesso di ascoltare la radio. Inoltre, tra i 6,5 milioni di persone che si sintonizzano ancora, la quantità di tempo che trascorrono all’ascolto è diminuita del 29% in otto anni. Dove si sono spostati questi consumatori? Su Spotify, su Apple, su Amazon Music e, ovviamente, su YouTube. Piattaforme che – lo sappiamo bene – non ospitano soltanto musica: basti pensare all’emergente fenomeno del podcast, per certi versi frontiera della narrazione audio.
Spotify, che ha già oltre 200 milioni di utenti, ha chiaramente contezza di questa tendenza e stima che nei prossimi anni il 20% del suo pubblico ascolterà contenuti diversi da quelli musicali. Da qui la decisione di acquisire due società di produzione di podcast e di stanziare un fondo da 500 milioni di dollari per ulteriori espansioni in questa direzione, per il solo 2019.
«Se i giovani non vanno in libreria, saremo noi ad andare da loro» affermava pochi giorni fa Miguel Barrero, nuovo presidente della FGEE. Ma la chiave per raggiungerli sembrerebbe non essere tanto quella del formato, quanto piuttosto quella della piattaforma (e della logica) di fruizione. Se i giovani di età compresa tra i 14 e i 25 anni cercano nell’all-you-can-stream la risposta alla loro domanda d’intrattenimento mediale, forse è in quelle offerte che i prodotti editoriali vanno ricompresi. Con buona pace del timore che questo cannibalizzi le vendite unitarie. Soprattutto per un target che l’acquisto unitario – in libreria o sullo store digitale – tenderà a farlo sempre meno.
Di Alessandra Rotondo
Questo è un articolo del Giornale della Libreria