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Mentana, Damilano e il racconto della politica

Enrico Mentana e Marco Damilano

 

Sempre più disilluso, scettico, dunque disinteressato. Forse si esagera, ma questi aggettivi definiscono bene l’atteggiamento del pubblico italiano nei confronti della politica e, di conseguenza, del racconto della politica del nostro Paese. Il referendum costituzionale di pochi giorni fa, però, ci racconta di un popolo che si è nuovamente interessato e quindi informato alla situazione politica del Paese, al governo. Alla Costituzione addirittura. Ed Enrico Mentana è stato certamente uno dei primi – se non il primo – e dei più convinti nel seguire l’intuizione della necessità di raccontare questa vicenda, la storia che ha portato al voto dello scorso 4 dicembre.

 

Il sorriso di Enrico Mentana mentre saluta un’amica

 

“In questo momento ci sono le consultazioni al Quirinale – esordisce Marco Damilano – ma Enrico non è in diretta. Eccezionalmente, solo per essere qui con noi”. Il giornalista de L’Espresso ci scherza su, ma il direttore di La7, con le sue ormai celebri dirette e maratone notturne, è stato protagonista di una rinascita dell’informazione politica in Italia. O, quantomeno, di un rinnovato interesse del popolo verso certi temi. Come osserva Damilano, “Mentana ha capito prima di tutti che il referendum sarebbe stato l’evento politico dell’anno”. Prima di aggiungere: “Sul piano comunicativo e dell’informazione non era però scontato che diventasse un evento seguito da milioni di persone: i precedenti referendum costituzionali erano stati confinati agli addetti ai lavori e inoltre il tema era molto tecnico”. Con i suoi “Faccia a faccia” all’inizio e con le dirette dei mesi seguenti, Mentana ha cavalcato un interesse iniziale e ha contribuito ad accrescerlo. “Non credo che l’informazione contribuisce a creare il grande evento”, spiega però Mentana e aggiunge: “La cosa c’era, s’intuiva l’agguato a Renzi”. E in effetti, la frase di Renzi “O vinco o lascio la politica”, pronunciata a fine 2015, era già un buon punto di partenza per capire la portata della questione. “Ma è stata la politica a lasciare lui” – scherza Mentana.

 

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Un momento del dialogo sul referendum

 

Poi racconta ciò che gli ha dato la certezza che questo tema avrebbe dominato la scena: una campagna referendaria dalla durata senza precedenti (quasi sei mesi) e un’unione mai vista tra un referendum e un plebiscito – quello sul tema “pro o contro Renzi?”. E alla fine Renzi ha perso sia il referendum che il plebiscito. “Mai si è vista una campagna più lineare a leggerla da dopo, più imprevedibile a viverla e con un risultato così clamoroso, netto come non si vedeva da tempo – racconta Mentana – e non c’è nulla da raccontare di più bello che lo scontro quando diventa tutto: politico, di procedure, personalistico, con in mezzo tutti gli artifici della grande tradizione del romanzo”. Quando Damilano osserva: “Le due parti, a un certo punto, si sono identificate così tanto con Sì e No da esprimersi poi così su tutto”. È vero però che ora, come sottolinea il direttore di La7, gli equilibri politici si giocano su chi ha votato Sì o comunque è legato al PD. Persone che, attualmente, non hanno grosse alternative a Renzi. L’elenco delle alternative “non è che sia la foto di gruppo del Real Madrid…”, scherza Mentana, prima di ipotizzare: “Renzi deve farsi dimenticare per un attimo e poi rimpiangere”. Sì, perché il premier dimissionario “si è fatto un plebiscito su misura travestito da referendum e l’ha perso. Altrimenti non ci sarebbe stata nessuna crisi di governo”. Provocato dal collega Damilano, Mentana commenta anche il ruolo di Berlusconi, “decisivo nella campagna referendaria” e che avrebbe spostato addirittura un buon 4% dei voti. Insomma, Renzi è rimasto solo con tutti contro.

L’incontro, nelle fasi conclusive, torna sul tema centrale: il rapporto tra l’informazione e la politica. Dice Damilano: “Per mesi si è detto che la politica in tv era in crisi, che era un racconto che non rappresentava la realtà. In questi mesi è come se ci fosse stata una rivincita della politica in tv”. Secondo Mentana, però, “è ovvio che c’è un momento in cui anche una cosa che trascuri per un po’ torna ad essere la cosa più importante”. Soprattutto in un’epoca in cui “le elezioni ormai si fanno in tv, non sono determinate dalla tv, ma si fanno in tv”. Anche se Renzi non ha ottenuto vantaggi dall’apparire molto in tv, ha dovuto farlo, perché “la tv è come la piazza degli anni ’50, quando si facevano i comizi”. E così gli ascolti televisivi sono cresciuti insieme all’asprezza dei toni del dibattito, anche se non c’è comunque paragone con gli ascolti delle dirette del 2013, osserva Mentana. L’abbassamento degli ascolti c’è stato, insomma, perché “si riaccende la passione, ma non ci sono più due tifoserie schierate né il senso che sarebbe cambiato qualcosa”. E quindi quali saranno le conseguenze della vittoria del No? “Non è stato lo scontro finale, non è cambiato niente: sono stati i quarti di finale. Forse la finale saranno le prossime elezioni, che saranno molto in tv”. Ma, rispetto al passato, “il ruolo dei talk show continuerà ad essere più marginale. E non è detto che sia un male”. Con questa osservazione, un po’ inattesa per un professionista dell’informazione politica, si chiude il racconto di Mentana e si apre una riflessione. Quella sul vero rapporto tra il popolo e la politica. Oggi e in Italia a maggior ragione.

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