Storie da più libri

Il pigiama di Paco Roca incontra la tuta di Zerocalcare

Due artisti, due storie, due personalità riassunte efficacemente dal titolo scelto da Oscar Glioti per questo incontro. “Conversazione tra un uomo in pigiama – Paco Roca – e uno – Zerocalcare- in tuta”. Due fumettisti di successo, accomunati da molte, moltissime peculiarità. Se l’artista spagnolo non ha mai nascosto che il suo sogno fosse fare un lavoro “in cui poter stare tutto il giorno in pigiama”, Oscar Glioti ci spiega che, per Michele Rech (in arte Zerocalcare), la tuta “è un po’ quella divisa che gli consente di tornare a quei tempi in cui era ragazzino e di avere una libertà totale nell’esprimersi”. Quando però diventi un autore di successo, la tuta e il pigiama te li devi levare. Anche perché ormai i due sono accomunati pure dall’aver aperto il mondo dei fumetti a una platea molto più ampia di quella strettamente appassionata al genere. Paco con “Rughe” e Zerocalcare con “La profezia dell’armadillo” hanno portato il fumetto in territori mai battuti, come quelli della malattia (Alzheimer l’uno, anoressia l’altro) e della memoria.

 

Oscar Glioti introduce la conversazione con Paco Roca e Zerocalcare

 

Il primo tema affrontato? Uno dei padri di tutti i fumetti, “Tin Tin” di Hergé. Forse l’argomento di maggior distanza tra i due artisti. Lo spagnolo grazie ad Hergé ha conosciuto la linea chiara, uno stile che permette a chi scrive di mettersi in connessione con il lettore e raccontare qualsiasi tipo di storia, e ha trovato ispirazione nella serietà con cui il belga affrontava la professione. Zerocalcare, invece, dopo aver sottolineato la sua stima e ammirazione per Roca, non nasconde che “Tin Tin” lo annoiava “proprio tanto tanto tanto”. Insomma, “non riuscivo a leggerlo”, confessa. Opinione personale però, dato che Hergé rimane uno dei maestri del fumetto.

Zerocalcare

Zerocalcare

Anche il passaggio da dilettanti a professionisti del fumetto è stato diverso, ma simile per la stranezza con cui si è verificato. “Come sapete vivere di cultura non è così facile, solo in pochi possono farlo – spiega Paco – e di fumetti a maggior ragione”. La pubblicità non gli dava una soddisfazione creativa, ed è dunque passato ai fumetti. Ma l’unica occasione all’epoca era una rivista pornografica. “Era la prima volta che lavoravo in modo professionale, per cui mi ha insegnato cosa significa avere una data di consegna e un metodo di lavoro”. Zerocalcare, invece, veniva da anni di lavoro gratuito per la scena punk-hardcore italiana e non solo. “A un certo punto mi sono montato la testa e pensavo di poter campare di fumetti”. Ai tempi c’era un concorso della DC Comics, che ogni mese selezionava otto incipit di storie di autori emergenti e li pubblicava per farli votare agli utenti del sito. Il vincitore del mese aveva un contratto per un anno, veniva pagato e soprattutto poteva mettersi in mostra. Tra la sua “caterva di amici” e le persone per cui aveva lavorato senza farsi pagare, Michele ha stracciato i rivali e ha vinto, per poi lavorare un anno a una sua storia originale. “Ma gli stavo talmente sul c***o per la storia dei voti – spiega – che la DC Comics non solo non mi ha mai considerato per un anno né prolungato il contratto, ma non mi ha neppure ceduto i diritti per pubblicare la storia; volevano farla cadere nell’oblio. E pensare che Black Mirror mi ha pure copiato la storia!”. Due esordi stravaganti, insomma, quelli di Paco e Michele.

Paco Roca

Paco Roca

Fine delle comunanze? Macché. Anche la memoria è un tema che li appassiona entrambi e li segue in tutte le loro storie. Paco è interessato alla memoria perché “è il modo che ho di conoscere la mia identità”. Ed è anche qualcosa di estremamente collettivo, sociale, perché come dice Orwell: “Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”. “È triste che la memoria collettiva di un Paese – osserva lo spagnolo – vada conservata nella finzione per evitare che vada perduta”. Forse, però, è proprio questo il ruolo (o uno dei ruoli) dell’arte. Anche Zerocalcare ripercorre memorie individuali e comunitarie, sempre con umorismo.

Ecco un altro tratto comune tra i due fumettisti. Il loro umorismo traspare sempre, anche quando affrontano i temi più duri e dolorosi. Se però Paco spiega questo approccio dicendo che “l’uomo è buono per natura”, per Michele è l’opposto. Il suo umorismo è piuttosto una “schermatura”, un modo per non mostrare debolezze e fragilità che gli altri possono usare contro di lui. “Ogni cosa che scopro di me stesso, ogni vulnerabilità che mostro, penso che saranno utilizzati contro di me – spiega -. Se invece faccio ridere io per primo, disinnesco la minaccia degli altri”.

Il saluto tra i due fumettisti

Il saluto tra i due fumettisti

E, infine, il rapporto con i lettori. Paco si sente sempre ripagato dal sentirsi compreso dai suoi lettori. “Per un artista – dice – essere compreso ti ripaga del lavoro”. A Zerocalcare, invece, piace conoscere i lettori, le loro storie e soprattutto “cosa ci trovano in quello che posso raccontare io con vite così diverse dalla mia”. Preoccupati di conservare il proprio pubblico? Preoccupati sì, perché “quando raggiungi una cosa difficile come vivere di fumetti, poi non vuoi perderla”. Il modo migliore, però, è “fare veramente quello che vuoi fare, dato che non esiste un lettore tipo: ognuno è differente dall’altro”. Anche Michele la pensa così, ma sottolinea un altro aspetto. “Mi sono accorto che, se fai qualcosa che non ti appartiene e lo fai per inseguire il pubblico, il pubblico se ne accorge: il lettore non vuole essere rassicurato ma avere un pezzo di qualcosa di vero e sincero”. Un pigiama, quello di Paco, e una tuta, quella di Michele. Due indumenti comodi, in cui essere se stessi e con i quali andare incontro ai lettori senza filtri, ma con la voglia di affrontare, attraverso le loro storie, temi profondi. Temi che la loro passione e il loro talento hanno trasformato in storie. In fumetti.

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